Grande scoperta. Non so come ho fatto a passare quasi metà ( ) della mia vita senza conoscere questo posticino, a soli 5 km. da casa mia. E’ appena di là dell’Adige rispetto alla mia collina, in un paesetto anonimo e abbastanza recente; la sua terrazza estiva dà proprio sul fiume, ma in questa stagione, di sera, comincia a fare troppo freddo (e c’è anche umidità vicino al fiume) per mangiar fuori.
Insegna ovale di plastica bianca e rossa, anni 60, e interno sistemato con un gusto un po’ particolare, non credo più in là del decennio successivo. I muri sono tinteggiati con un rosa pesante madreperlato, che ti fa deglutire… separè di legno scuro simili a quelli di certe pizzerie… lampadari floreali da sospiri... mobili in noce, pavimenti di gres macinato anni 50, però ben lucidato, tirato a specchio, tutto è pulito e in ordine, e, soprattutto, la cameriera è molto carina, simpatica, disponibile, nuova par di capire, con quel poco di imbranatura che a me la fa apprezzare ancora di più (non ricordava bene i piatti fuori menu e ogni tanto tornava in cucina a farsi dare delle dritte).
Da bere mia moglie e mia figlia Elisa si dividono un quartino di bianco sfuso (mi era sembrato chardonnay, dal gusto) della cantina farina di Pedemonte. Io invece opto per il valpolicella classico, sempre sfuso e sempre di Farina. Ottimo e ben profumato il mio, bevibile il loro. Non è una novità che in Valpolicella si fa bene bene il rosso, mentre il vino bianco è stato quasi completamente messo da parte dalle cantine. Assieme, una bottiglia di acqua gasata. Dal cestino del pane comincio a sgranocchiare degli sgonfietti fatti in casa con semi di finocchio: buonissimi, una bella idea, che va oltre il tran tran della trattoria con cucina casalinga.
“Parchè mi ero là davanti a la televisiòn… ghèra… Albertosi, Burgnic, Fachèti… eeeee… come se ciàmelo… dopo ghèra Rosato e Cera… Domenghini, Massòla, Boninsegna, De Sisti (oh, te lo ricòrdito De Sisti?) e Riva…” Il nostro tavolo era da quattro, e dunque lo spazio davanti a me era completamente libero: avevo nel mirino il tavolo accanto con cinque avventori maschi da bar sport tra i 50 e i 70, qualcuno tra l’altro mi pareva anche di conoscerlo alla lontana. “Come se ciàmelo? quel’altro là…” fa il parlatore… “No so, mi era bocia…” risponde il più giovane del gruppo.
Giusto il tempo che la Marta mi inviti ad unirmi a loro (non prima di aver ricordato dov’eravamo quella sera della finale del Messico), che arrivano due barche di risotto alle Capesante. Erano proprio due barche di ceramica bianca, lunghe circa 35 cm. e larghe 15, misurate a spanna, con dentro una quantità industriale di risotto. L’ho assaggiato anch’io, anzi ne ho mangiato una porzione abbondante, anche se la mia opzione della serata era indirizzata verso la carne. Eccellente il risotto, ben mantecato, gusto delicato, cottura perfetta. Il pesce, c’è scritto sul menu, non viene mai indicato, perché dipende da quello che trovano al mercato. Secondo me è una bella cosa. Le capesante le ho sentite freschissime.
“oh… Pelè el ssà tirà su, su, su… e l’è rimasto là su, ch’el sarìa ancora là se no ghe fusse rivà la bala… ghèra Rosato e Cera, ma prima, come se ciamàvelo el mediàn, el spacagambe…?” Mentre il tempo per avere il risotto è stato perfetto, venti minuti dall’ordine, giusto il tempo che si cuocia, con i secondi passa mezz’ora, tempo un po’ lunghino… specialmente per portate già pronte come le nostre… trippe alla parmigiana per me, polenta e bacalà per la Marta, polipo lessato con i piselli per l’Elisa… La camerierina si scusa dicendo che la gente è arrivata quasi tutta insieme: perdonata!
Intanto ho il tempo di osservare la situazione anche all’altro tavolo a fianco, dove invece erano già al dessert: “Gavìo el tiramessù?” fa il più vecchiotto all’altra cameriera. “Il tiramisù no, però c’è la torta con l’ uvetta e la ricotta, quella con le pere e la cioccolata, la panna cotta coi frutti di bosco, la torta coi pinoli… tutte fatte in casa…e poi…” “El tiramessù no…?”
Sinceramente, in giro ne ho mangiate anche di meglio, ma erano comunque buone le mie trippe, anche in questo caso una porzione gigante. Assaggiato il polipo fresco, buono anche quello. Ancora migliore, dal commento, il bacalà della Marta, porzione enorme, accompagnata da una panàra di legno con tre fettazze di polenta.
Ottima anche la verdura: oltre alle patatine fritte (una terrinetta che le mie femmine hanno lasciato quasi tutta per me) (ma fritte all’istante, quindi scivolavano che era un piacere), anche delle fette particolari e sottili di sedano rapa gratinato col formaggio, squisito. E poi una enorme terrina di insalata e pomodori (roba fresca, senza segni marron di stantìo), radicchio rosso di Verona al forno cotto nel burro (un intero ovale che abbiamo lasciato quasi completamente intonso), rondelle di carote lessate e poi saltate in tegame col prezzemolo, buone anche queste. Al di là di una cucina semplice e tradizionale, con qualche punta di eccellenza e di novità, mi hanno sbalordito le quantità.
“Avarìa magnà volentieri un tiramessù…” fa il vecchiotto tirandosi su dalla sedia. Il tavolo a fianco smamma con questo desiderio insoddisfatto e noi, che crepiamo dal ridere, ci facciamo portare il conto, di 68 euro totali.
Dovrò per forza tornarci, perché c’era anche il bollito con la pearà, la paparèle coi figadini, il risotto con l’ amarone, pasta e fasòi, risotto all’isolana, tagliatelle fatte in casa col tartufo e il Monte, pastissàda de musso e tante altre cosette della tradizione veronese. Magari, ordinando un po’ di meno non si scoppia e si paga ancora meno.
Ci alziamo e vado verso la cassa per pagare, non prima di aver girato lo sguardo verso il tavolo del bar sport: “Bertini” dovevo dire. “Brào!” mi avrebbe detto il parlatore, col dito alzato verso di me come Osama.
Consigliatissimo!!
[testapelata]
06/10/2012
questo dev'essere proprio un ottimo posto , come ne avete tanti lì da Voi